[Racconto gratuito] La notte di Natale
Titolo: La notte di Natale
Genere: Fantasy, fiaba
Pubblicato per: Il blog Sognando Leggendo
Data di uscita: 25 dicembre 2011
Genere: Fantasy, fiaba
Pubblicato per: Il blog Sognando Leggendo
Data di uscita: 25 dicembre 2011
I folletti natalizi sono spiritelli dal berretto rosso che la notte di Natale escono allo scoperto tra i rami degli abeti illuminati. Il loro compito? Far brillare i balocchi, lucidarsi fino a potercisi specchiare in modo da rendere il giorno di Natale il più speciale. Pier è un folletto natalizio, anche se è impacciato e ancora inesperto, e il suo compito non verrà certo reso più facile dal micio di casa...
Mimi sbadigliò a fauci spalancate, rotolandosi tra la stoffa morbida della cesta. La campanella del giocattolo di pezza tintinnò allegra, ma quella sera Mimi non la trovava attraente come al solito.
Il cucciolo di gatto si acciambellò, spostando la lunga coda vaporosa qua e là. I padroni ormai erano andati a dormire lasciando accesa soltanto la stufa, che mandava bagliori rossastri come il suo pelo. C’era un bel calduccio, un buon profumo di legna secca e sembrava che in casa ci fosse qualcosa di diverso.
Gli umani avevano affisso agli stipiti delle porte, all’ingresso, persino alle finestre tanti festoni luccicanti, e nel soggiorno grande avevano piantato un albero. Un albero che però non perdeva gli aghi e non aveva l’odore di quelli in giardino. Per di più, l’avevano ricoperto di palle di vetro colorate, ghirlande brillanti, catenelle sfavillanti e tante lucine che l’avevano incantata. Aveva provato ad afferrarne qualcuna per capire che sapore avessero, ma la padrona adulta l’aveva acchiappata prima che potesse spiccare un salto e l’aveva spostata in corridoio, intimandole di fare la brava.
Mimi aveva assentito con un miagolio di disappunto, per nulla felice che le impedissero di esplorare una nuova pianta su cui avrebbe potuto farsi le unghie. D’altronde, erano i suoi padroni e non sarebbe stato affatto carino disobbedirgli.
Così la micina affondò il musino tra le zampe anteriori, sentendo il sonno farsi avanti ad accarezzarle la pelliccia.
Finché non udì alcuni strani rumori. Sollevò la testa, orecchie ritte e in allerta. Di nuovo un fruscio.
Un frusciare basso e sottile, mai udito prima.
Stette immobile per qualche attimo in attesa di capire se si trattasse della sua immaginazione di cucciolo, ma quando si accorse che, invece, era realtà, balzò giù dalla sua alcova e caracollò fino al soggiorno, incuriosita.
La luce emanata dalla stufa era tremolante e aranciata come il sole d’estate che aveva avuto occasione di ammirare dopo aver aperto gli occhietti. Si affacciò nella stanza. Le ci vollero pochi secondi per scoprire la fonte di quel brusio strano quanto interessante.
Nel buio, vide qualcosa di molto bello con cui giocare.
Il grosso vaso che faceva da base all’abete sintetico era imbottito di impalpabile fluff bianco, su cui erano state gettate manciate di glitter scarlatti e dorati sino a farlo somigliare a un prato nevoso puntinato di fiorellini.
Là, come un castello rotondo, era posato un grosso balocco rosso a fantasia di stelline, coronato da un grande fiocco di pailette.
Uscivano da lì.
E ne uscivano in tanti.
Pier era stato tra i primi a trotterellare fuori, per poi mettersi a saltellare come una pulce in ansiosa attesa di ricevere indicazioni, tanto che il vecchio e saggio Mus sospirò con un sorriso rassegnato.
A differenza dei canonici cinque centimetri che caratterizzavano i folletti natalizi, Pier ne misurava soltanto tre. Era giovane e inesperto, inciampava spesso nel ponpon della berretta e non aveva ancora appreso i rudimenti per rendere il suo incarico fluido e automatico. Ma avrebbe imparato, Mus ne era certo.
«Cosa faccio, cosa devo fare, eh? Eh? Eh? Dove vado, cosa porto, come...?» chiocciò speranzoso verso l’anziano, che gli scompigliò i capelli neri sulla testolina. Almeno per farlo stare zitto.
«Te la senti di lucidare i balocchi di vetro?»
Pier annuì con energia, il ponpon del cappellino che rimbalzava in ogni direzione.
«Allora prendi una borsa e va’» sorrise il vecchio, sistemandogli il colletto della camicia vermiglio.
Il piccoletto non se lo fece ripetere.
Si presentò da Ames e si fece consegnare la tracolla colma di polvere natalizia, controllò che ce ne fosse tantissima - abbastanza da affondarci le mani come adorava fare - e iniziò ad arrampicarsi sulle fronde più basse, attentissimo a non lasciarsi sfuggire nemmeno una sfera di vetro.
La prima che trovò era trasparente, venata di ramificazioni di glitter bianco niveo che erano ruvide al tatto. Pier si calò dal gancio che la teneva appesa, raccolse un pugno di polvere natalizia e prese a sfregarla sulla superficie.
Poco a poco il balocco diventò lustro e riflettente come uno specchio magico, i glitter divennero luminescenti come diamanti, la fragile sfera si colorò di un lucore che sembrò farla rivivere come appena nata nella bottega di un vetraio. Pier dovette allungarsi più che poté per patinare le curve del globo, scivolò un paio di volte e dovette tornar su. Voleva che il risultato fosse bellissimo, anche a costo di terminare giusto in tempo per l’arrivo di Babbo Natale.
Gli altri folletti - chi adibito alla lucidatura dei balocchi di materiali meno nobili, chi si occupava di aggiustare i festoni appesi, chi riparava le luci che avevano dimenticato di svegliarsi - lo guardavano con un misto di divertimento e apprensione.
I folletti natalizi erano coloro che si occupavano di rendere l’albero perfetto per il 25 di dicembre. Dovevano ordinarlo dal tronco fino alla cima adoperando la polvere natalizia per far sì che, quando gli abitanti della casa si fossero destati, non avrebbero incontrato un semplice abete finto bensì il vero Spirito del Natale. Quello che rendeva i bambini allegri e spensierati, quello che metteva di buon’umore i grandi, quello che disseminava gioia, serenità e bontà: dovevano rendere magico il simbolo stesso della magia.
E i folletti natalizi sapevano che Pier si impegnava ma era ancora troppo piccolo per una responsabilità del genere. Tanti si chiedevano perché Mus, che era savio e di Natali ne aveva vissuti molti più di tutti loro messi insieme, gli avesse conferito un incarico nonostante fosse impacciato, scoordinato e un poco maldestro.
Avrebbe potuto accidentalmente far cadere un balocco e frantumarlo a terra, avrebbe potuto incastrarsi tra i rami o perdersi tra le ghirlande, la sua altezza gli rendeva difficile occuparsi dei pendenti più grandi, e spesso si ritrovava a scalare la stessa fronda per riprendere il suo posto dopo esservi cascato.
Ma la notte di Natale era fugace, Babbo Natale era in viaggio e nessuno aveva un attimo da sprecare, perciò si limitavano a lanciare a Pier qualche timorosa occhiata di tanto in tanto mentre procedevano con impegno e solerzia.
Mimi si avvicinò con cautela, i suoi occhi verde smeraldo non sapevano dove posarsi: l’albero brulicava.
Tanti cosini rossi e verdi ovunque che si agitavano frenetici e non si curavano della sua presenza. Ne vide qualcuno che alitava sulle palline dorate e vi passava il gomito con fare orgoglioso, un altro che trafficava con le lucette a intermittenza, altri che si abbarbicavano sulle corone rosso e oro guadagnando le frasche alte.
Che cosa buffa e divertente.
La gattina inclinò la testa in varie angolazioni, nel tentativo di capire cosa fossero quelle creaturine minuscole e colorate, vestite di abitini sgargianti, cappellini rossi e una pallina bianca in cima, che dondolava a destra e a manca come un morbido pendolo.
Prese una breve rincorsa e balzò sul divano. Mosse qualche passetto in direzione dell’abete, decisa a usare il suo olfatto per catalogare quegli esserini che assomigliavano ai soldatini del padroncino. Solo che quelli si muovevano, e anche parecchio.
La sua attenzione venne attirata da un ruzzolare tra gli aghi. Fissò il punto in cui i rametti si agitavano, ed ecco che sbucò un paio di manine rosa, seguite dal corpicino del minuto proprietario, il quale si issava con discreta fatica, tanta da far oscillare il balocco a forma di pigna cui era aggrappato.
Mimi si acquattò, silenziosa.
Pier sbuffò, inerpicandosi lungo il finto ramo fino a che non ritrovò l’equilibrio, sospirando sollevato. Stava migliorando. I primi anni capitombolava ai piedi dell’albero e gli toccava risalire dal ceppo, sbuffando come un’ape impazzita.
Ritornò alla sua pigna, raccattò un poco di polvere natalizia e finì di lucidarne il fondo.
Gli altri scalavano l’albero con maestria e senza scivolare, lasciandolo indietro, stanco e con molto lavoro ancora da portare a termine. Sapeva di non potersi fermare ma si concesse qualche istante per riprendere fiato, sollevando lo sguardo del colore delle nocciole fino alla sommità.
Là c’era la Dama.
Non un banale balocco bensì un pendente di puro cristallo, la regina dell’albero che sovrastava il suo conico regno, seconda solo al puntale che ne era il sovrano.
Pier avrebbe voluto essere il primo, almeno una volta, a donarle la polvere che lei stessa avrebbe usato per rendersi iridata come meritava, ma non c’era mai riuscito, un po’ perché era lento e ogni Natale era l’ultimo a concludere il lavoro, un po’ perché si bisbigliava che la Dama non avrebbe accettato la polvere da un folletto goffo come lui.
Scosse la testolina mora, si sistemò ben bene il cappello e continuò la sua scalata. I balocchi lo attendevano.
Lavorò imperterrito, tra ponpon che lo facevano inciampare e polvere natalizia che si divertiva a farlo starnutire, salì lustrando le sfere di vetro fino a potercisi riflettere. E fu in uno di quei momenti che si accorse di essere osservato.
Si voltò e per poco non gli venne un colpo.
Due grandi pupille nere, contornate di un selvaggio verde vivido, seguivano le sue mosse millimetriche.
Perché nessuno l’aveva informato di un mostro natalizio?
Sfrecciò a nascondersi dietro una stella di plastica - già limpida di polvere natalizia - tremando come una fogliolina.
Gli occhioni si avvicinarono cercando di scovarlo e, quando non ci riuscirono, una grossa zampa ricoperta di pelo agitò l’esile frasca sino a farlo beccheggiare pericolosamente. Pier si strinse più che poté agli aghi posticci, non osava pensare a cosa sarebbe successo se fosse precipitato e il mostro l’avesse trovato.
Con una mossa fulminea si lasciò scivolare lungo l’anima di un festose e arrivò dall’altra parte dell’albero, ma sembrava che la bestia rossa se ne fosse accorta, infatti era pronta a scattare in quella direzione.
Allora il folletto prese ad arrampicarsi a grande velocità per mettere più distanza possibile tra loro, scavalcò persino colleghi che gli chiesero che stesse combinando e non ebbe il coraggio di dargli risposta.
Il cuoricino gli batteva forte nel petto sotto la camicetta rossa, si appigliò a un paio di gufi di feltro guardando in basso. La bestiola continua a fissarlo ma era lontana, sullo schienale del divano, impossibilitata a raggiungerlo.
Sperava.
Si abbandonò a un sospiro liberatorio, che presto però si tramutò in delusione. Aveva saltato chissà quanti balocchi. si era lasciato sopraffare dalla paura e non aveva compiuto il suo dovere, proprio la notte di Natale.
Si accasciò a ridosso del tronco, avvilito. Prese tra le mani il soffice ponpon bianco, stringendolo come se fosse l’unico amico rimastogli.
Forse gli altri folletti natalizi avevano ragione. Forse non era affatto portato per quel lavoro. Forse era una responsabilità troppo gravosa per lui, forse era davvero incapace come lo credevano, forse era troppo imbranato per fare le cose per bene. Forse era vero che avrebbe dovuto ritirarsi prima di combinare un guaio.
Una lacrima di scintilla gli scivolò lungo il viso, raccolta dalla soffice lanugine del ponpon.
«Ehi... Cosa succede, piccolo?»
Pier si girò mentre un’altra goccia gli bagnava la pelle di pesca. Quando la vide, poco mancò che non scapicollasse di nuovo.
La Dama era bellissima.
Un fulgido balocco di cristallo d’un azzurro terso, un lungo abito di ragnatele screziate dalle luci irregolari e lo sguardo di giada, fiero e importante.
Era arrivato alla Dama prima di chiunque altro, senza neanche accorgersene.
«Ah...» mormorò intimidito. «Mi scusi non avrei dovuto essere qui è che mi sono spaventato e sono corso quassù senza pensare non volevo essere invadente mi perdoni non lo farò più adesso vado!» esclamò dimenticando di prendere fiato, tanto che alla fine il suo volto tondo assomigliò a una ciliegia matura tanto era rosso, in tinta con la blusa.
«Fermati, non devi andare da nessuna parte!» lo rassicurò, preoccupata per la colorazione del folletto. «Cos’è che ti ha tanto spaventato?»
Pier parve ricordarsi in un attimo le elucubrazioni di pochi attimi prima. Gli occhietti tornarono a riempirsi di lacrime e riafferrò il ponpon, sentendosi fuori posto.
La Dama si avvicinò, leggera e leggiadra, e gli accarezzò il cappellino con fare materno. Il suo sguardo di ghiaccio era avvolgente, rassicurante, non come gli era sempre stata descritta.
«Mi dici cosa succede?» ritentò, candida.
Pier ingoiò la tristezza e con lentezza allungò un braccio, indicando qualcosa lontano dall’albero. La Dama si sporse e intravide la gattina appostata, zampine sotto il petto e gli occhi sognanti volti in quella direzione.
«Piccolo, non ti devi preoccupare, non ti vuole fare del male» gli disse con dolcezza. «Vuole solo giocare, come tutti i cuccioli.»
Pier torturò il suo ponpon. Tornò a scrutarsi le punte degli stivaletti scarlatti, sconfortato.
«Perché sei così triste?» insisté dolcemente.
«Non sono stato bravo...» frusciò minacciando un altro pianto. «Ho avuto paura e sono scappato prima di finire di lucidare i balocchi… E sono finito qui anche se non avrei dovuto... Non sono portato per fare il folletto natalizio...» Si asciugò una lacrimuccia con la manica, serrando la palletta che aveva tra le dita, quando sentì la dama ridere con gentilezza.
«Non è la fine del mondo, piccolino» gli sorrise. «C’è tempo prima che arrivi Babbo Natale, ancora di più prima che arrivi il nuovo giorno.»
Pier tirò su col naso, abbattuto.
«Ma non sono bravo a fare niente!» pigolò. «Sono lento e ogni anno arrivo ultimo, e sono basso! Non riuscirò mai a essere bravo come gli altri…»
Lei gli prese il viso tra le mani color cielo, regalandogli un sorriso.
«Nessuno è perfetto, piccolino» lo rassicurò. «E nessuno nasce esperto. L’esperienza arriva con gli errori, da ciò che impariamo facendoli. E se non ti riesce la prima volta, riuscirà alla seconda, o alla terza, o quando sarai pronto per riuscire.»
«Credi?» soffiò Pier, dimenticandosi di dover usare un linguaggio un tantino più rispettoso con la principessa dell’albero.
«Hai la polvere natalizia?»
Sì, ce l’aveva, anche se quasi se n’era scordato. Le porse la tracolla e la dama ne prese una generosa manciata, che si cosparse tra i capelli di vetro, sulle spalle azzurrate, lungo l’abito serico, fino alle scarpette trasparenti. Divenne una Fata.
Il balocco più lucente, dorato e amaranto, che conteneva in sé le sfumature dell’arcobaleno che si rincorrevano come in un miraggio nel dormiveglia. Fece una piroetta sotto il puntale, alto e fiero, che osservava bonario dal culmine senza proferire parola.
«Vedi, piccolo?» gli domandò una volta che la polvere ebbe sortito il suo effetto luminescente. «Sei riuscito a giungere fino a me e portarmi quel che dovevi.» Si mise in ginocchio di fronte a lui, sistemandogli alcuni ciuffetti ribelli. «Sei stato il migliore, questa volta. E se hai dimenticato qualche balocco venendo su, potrai recuperare mentre scendi. Niente è irreparabile.»
Pier agitò l’amato ponpon bianco, imbarazzato e confuso, finché un barlume di speranza non gli balenò negli occhioni scuri. Arrossì mentre un sorriso gli fioriva sulle labbra, facendolo sentire felice.
«Posso venire a trovarti l’anno prossimo?» azzardò nascondendosi, dietro la tesa del berretto.
«Certo che puoi» assentì la Fama. «E ogni volta che mi vedrai, saprai che puoi essere qualunque cosa tu voglia.»
Pier nascose le mani dietro la schiena, dondolandosi gongolante, trattenendo un sorriso enorme.
«Grazie!» esclamò. «Allora io scendo e… e luciderò tutto i balocchi di vetro che troverò prima che arrivi Babbo Natale!»
«Bravo» annuì, ridendo. «Ma aspetta un momento…» Si protese e da una ghirlanda rubò una finta bacca di pungitopo, e gliela porse. «Fanne buon uso.»
Pier la accettò seppure non ne comprendesse l’utilizzo. Ma se gliel’aveva consegnata la Fama, a qualcosa sarebbe pur servita. Le scoccò un sorrisone, riconoscente e allegro, assicurandole che al prossimo Natale si sarebbero rivisti senza ombra di dubbio.
Dopo che la fata di vetro l’ebbe salutato, Pier prese a scendere senza fretta, fermandosi ad ogni delicato balocco che incontrava per dar voce alla promessa fatta. Dopo poco incontrò i folletti che stavano salendo, che gli chiesero perché la dama di cristallo fosse così luminosa e brillante nonostante ancora nessuno le avesse portato la polvere natalizia.
Pier si limitò a ripetere quel sorriso. Per poi cadere e rimanere appeso al ramo.
Era difficile lucidare tenendo al contempo la bacca, ma non l’abbandonò finché non tornò all’altezza della bestiolina che sembrava averlo aspettato. Era intimorito da quella presenza rosso fuoco ma lei non sembrava ostile, anzi, lo guardava con la medesima aspettativa con cui Pier attendeva indicazioni da Mus.
E le parole della Dama gli ritornarono in mente.
Pier andò fino all’apice della propaggine sintetica, con un certo timore che gli pervadeva il corpicino, e mostrò al gattino la bacca. E la lanciò sul divano.
Questi si gettò alla sua ricerca sconquassando i cuscini, l’afferrò tra le zampette e la buttò in aria, la riprese e la fece rotolare qua e là, con la codina dritta e divertita.
Pier sorrise, pensando che non dovesse trattarsi di un mostro di Natale, bensì di una delle tante creature che quella notte magica vagavano la notte, alla ricerca di buoni sentimenti.
«Ehi, Pier!» lo chiamò una voce. Era il saggio Mus. «Come sta andando?»
«Ho finito!» rispose orgoglioso, mostrandogli la borsa vuota. Mus rise e gli accarezzò la testolina, intimandogli che era ora per tutti di rientrare: la mezzanotte era vicina e Babbo Natale era alle porte.
I folletti natalizi convogliarono verso la base dell’abete e rientrarono nel grosso balocco bicolore. Pier fu uno degli ultimi perché si era fermato a guardare il micio scorrazzare per il soggiorno, alla rincorsa della bacca.
«Su su su!» Mus batté il bastone sul fluff per richiamarlo all’attenzione, e lui gli corse incontro, inciampando nella berretta e finendo giusto dentro il rifugio. L’anziano lo aiutò a rialzarsi e togliersi le pailette dal vestito. «Sono fiero di te.»
Pier si calò il cappellino fin quasi al naso, mal nascondendo le guance arrossite.
«Sei proprio una stupida!»
«E tu sei un antipatico!»
«Stupida!»
«Antipatico!»
«Ragazzi!» sbottò la madre. «Per favore.»
I bambini si misero buoni, limitandosi a sussurrarsi fantasiosi insulti mentre scartavano i regali trovati sotto l’albero di Natale.
«È davvero bellissimo!» commentò la zia, ammirando l’abete addobbato a regola d’arte. «È… È luminoso come una stella!» disse scuotendo la testa, non trovando nessun aggettivo abbastanza calzante per descriverlo.
«Già» annuì la mamma di casa. «Anche se credo sia per le candele. Ieri per esempio mi sembrava… meno acceso. E credevo che alcune luci non funzionassero, invece ora pare tutto a posto…»
«Quel balocco è stupendo» continuò la zia indicando, la dama di cristallo che sovrastava la cima, che riluceva di sette colori di gemma.
La bambina smise di cercare di tirare i capelli al fratellino e si alzò in piedi.
«Questo è merito dei folletti natalizi!» esclamò per farsi sentire, e le due si volsero verso di lei.
«Folletti natalizi?» ripeté la zia. La bimba assentì con la testa, per dare convinzione alle sue parole.
«Me l’ha detto la nonna. La notte di Natale, prima che arrivi Babbo Natale, escono i folletti natalizi che sistemano l’albero, mettono a posto i festoni, lucidano i balocchi e fanno funzionare le lucine!»
Le donne sorrisero teneramente. Ricordavano la medesima favola, che era stata raccontata anche a loro.
«Beata ingenuità…» mormorò la zia, sfiorandole il mento.
«Guarda che è vero!»
«Non ho il minimo dubbio!» La madre raccolse le carte strappate e le stropicciò per farne una palla da tirare a Mimi, che l’agguantò al volo. «Forza, il pranzo è pronto, non facciamo aspettare gli altri!» esortò i presenti battendo le mani.
I due bambini di malavoglia si staccarono da libri e giocattoli e seguirono la zia nell’altro soggiorno, mentre Mimi balzò su una sedia, a pelo ritto. Spiccò un salto e ricominciò a giocare con una piccola bacca rossa che continuava a rotolare come se spinta da un soffio invisibile.
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